“Quando sono stata a Trieste, alcuni ragazzi afghani mi hanno detto che l’Italia era il primo posto dove si erano sentiti liberi e accolti, dove avevano potuto tirare il fiato: ho pensato che il ruolo di un volontario è un po’ questo… essere l’abbraccio, il sorriso, l’orecchio teso ad ascoltare, che per molto tempo, nel corso di un viaggio estenuante, non ci sono stati”.
A raccontare è Elena Jona, socia di ResQ, che lo scorso luglio ha trascorso 15 giorni a Trieste nell’ambito del progetto che abbiamo avviato poco prima dell’estate, a supporto dei migranti provenienti dalla rotta balcanica, presso il centro diurno di via Udine, aperto tutti i giorni e gestito da Comunità di San Martino al Campo, ICS e Donk, in collaborazione con ITC e Diaconia Valdese. Volontarie e volontari si destreggiano tra preparazione di tè caldo e distribuzione di vestiti puliti, tra lezioni di italiano improvvisate e traduzioni di documenti, tra confidenze sul viaggio affrontato e prenotazioni di visite mediche.
“Si può dire che la nostra presenza a Trieste consiste in due dimensioni: il fare e l’essere. Il fare sono le tante piccole azioni, semplice ma fondamentali, necessarie a rispondere ai bisogni di base di chi arriva” spiega ancora Elena. “Al centro diurno di via Udine le persone hanno finalmente la possibilità di fare una doccia, cambiarsi i vestiti, prenotare una visita, ricaricare i cellulari… e noi siamo lì, per dare una mano concreta”.
E poi c’è l’essere, ovvero “la possibilità di trascorrere del tempo con le persone migranti anche fuori dal centro diurno, nei luoghi dove si ritrovano, per chiacchierare con loro, scambiarsi racconti e conoscersi un po’ di più”.
Prosegue Elena: “Ogni giorno, terminato il servizio presso il centro, mi recavo nella ormai famosa piazza della Libertà, di fronte alla stazione, per incontrare le persone. Almeno un centinaio di giovani, tutti di età compresa tra i 15 e i 25 anni, arrivano quotidianamente a Trieste, dopo aver camminato per mesi. I piedi ormai senza unghie e feriti vengono curati da Lorena Fornasir e da suo marito Gian Andrea Franchi ogni sera, 365 giorni l’anno”. Molti altri volontari dell’associazione Linea d’ombra si alternano in piazza e offrono un pasto caldo, abiti, scarpe, coperte.
Una volta lì, non si può che provare sdegno e rabbia per chi è costretto a intraprendere un viaggio così pericoloso, ad affrontare quello che dagli stessi migranti è stato denominato “The game”, il gioco, in balia del freddo, delle violenze da parte della polizia e dei respingimenti illegali.
Dall’inizio del progetto, le volontarie e volontari di ResQ sono sempre stati presenti, con turni di 8 o 15 giorni, e le richieste di partecipazione proseguono: le settimane sono già coperte sino a fine novembre, quando arriveremo a 41 persone. Se l’acqua del Mediterraneo è la frontiera più letale al mondo, le rotte di terra che portano in Europa non sono meno violente e drammatiche per chi le percorre in cerca di rifugio o di una vita migliore. È per salvaguardare diritti e dignità umana, in terra come in mare, che le volontarie e i volontari di ResQ hanno iniziato ad operare a Trieste.
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