Lunedì mattina siamo salpati da Siracusa e ci siamo diretti a sud; mentre la ResQ People navigava abbiamo messo in acqua i gommoni per fare qualche altra esercitazione in alto mare. Prima di salpare avevamo due opzioni, da valutare anche in base alla presenza di altre navi di salvataggio: la zona di ricerca sulla rotta libica oppure su quella tunisina. La quantità spaventosa di segnalazioni sulla rotta tunisina – e la novità letale di quest’anno, le imbarcazioni di ferro – ci hanno fatto scegliere: rotta a sud ovest.
Siamo quindi arrivati in zona SAR mercoledì. Sul canale 16, il canale radio delle emergenze in mare, era un continuo “Mayday relay”: altre imbarcazioni, gli aerei di Pilotes Volontaires e di Sea-Watch e l’aereo Osprey2 di Frontex rilanciavano richieste di soccorso per barche in condizioni critiche. Ci siamo diretti verso due casi segnalati da Colibrì, l’aereo di ricerca di Pilotes Volontaires; il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC) ci ha invitato a procedere al salvataggio delle barche di ferro che avessimo incontrato nostra area, fino alla capienza massima della nostra nave.
Alle 20.25 dal ponte superiore, dove facciamo osservazione con i binocoli, Samir ha avvistato una lucina che si accendeva e spegneva: qualcuno cercava di attirare la nostra attenzione. Abbiamo lanciato subito in acqua Theresa e Lisa Fittko, i nostri gommoni di soccorso, con a bordo il rescue team: Samir, David e Madi su Theresa, mentre Minke, Alex e Cecilia sono saliti su Fittko.
Le barche di ferro, novità di quest’anno sulla rotta tunisina, sono trappole mortali: le saldature si rompono e iniziano a imbarcare acqua, ma basta anche che un’onda finisca dentro per comprometterne la stabilità. E quando affonda cola a picco: mentre un gommone che si sgonfia – o una barca di legno che si ribalta – restano a galla e offrono la possibilità di appigliarsi (una minima speranza di rimanere vivi fino all’arrivo dei soccorsi…), la barca di ferro va giù come un sasso.
Il primo soccorso era una barca di ferro, in condizioni relativamente discrete, quanto può esserlo una trappola mortale; era da tre giorni in mare: potete immaginare le condizioni delle persone a bordo. Abbiamo proceduto al soccorso e portato tutti sulla nave: erano così stremati che, appena issati sulla ResQ People, cadevano in braccio ai volontari che li aspettavano sul ponte.
Appena abbiamo finito di imbarcare tutti i 49, due ore dopo l’inizio del soccorso, i gommoni sono tornati alla barca di ferro per affondarla (è un pericolo per la navigazione) ed è stato allora che è successo.
“Tornate indietro, ripeto, tornate indietro immediatamente, ora! Ora! Massima velocità!”, ha gridato Kim alla radio. Dal nero della notte un’altra barca di ferro si era materializzata accanto alla nostra nave, le persone a bordo urlavano disperate: stavano affondando. Lo scafo da un lato era a circa quindici centimetri dall’acqua, dall’altro lato – l’abbiamo visto dai gommoni di soccorso – già non si vedeva più, tanto era pieno d’acqua. Era questione di pochissimi minuti: se i nostri gommoni di soccorso non fossero stati già in acqua, sarebbero tutti morti.
Fittko è stato il primo gommone ad arrivare e iniziare la stabilizzazione – calmare le persone, cercare di farle stare immobili per guadagnare secondi preziosi, poi distribuire i giubbotti di salvataggio – mentre Theresa correva a prendere il centifloat, il lungo gonfiabile arancione che si usa quando ci sono molte persone in acqua. E poi la barca è affondata, e tutti sono finiti in mare.
Lanciando in acqua ogni giubbotto che avevamo, e utilizzando il centifloat, siamo riusciti a recuperare 47 persone in una corsa contro il tempo – una corsa contro la morte. Per una donna, purtroppo, non c’è stato niente da fare: abbiamo visto subito il suo cadavere, ma naturalmente ci siamo occupati prima dei vivi, di chi aveva ancora una speranza. E li abbiamo tratti in salvo, prima sui gommoni e poi sulla ResQ People. Fittko ha tirato su dall’acqua una ragazzina che tremava di freddo, dodici anni e il terrore negli occhi, aveva già bevuto acqua salata. “Tutto bene? ”, le chiede Cecilia mentre il gommone corre verso la nave, “Mia nonna è morta”, è stata l’immediata risposta.
Quando abbiamo finito di mettere in sicurezza tutti i naufraghi a bordo della nave, i gommoni sono rimasti in acqua: siamo andati a cercare il corpo della nonna, per dare conforto alla sua famiglia, perche potesse avere una degna sepoltura. Non è stato facile, al buio e con le correnti, ma ce l’abbiamo fatta. Siamo stati contenti di poter fare almeno questo, per lei: riportarla a terra, trattandola con tutto il rispetto possibile.
All’una e mezza anche il rescue team e tornato a bordo. Le autorità ci hanno assegnato subito il porto di Trapani e abbiamo iniziato a navigare verso nord, ma la mattina dopo ci siamo di nuovo fermati per prestare assistenza, come chiesto della Guardia Costiera, un’imbarcazione in difficoltà: siamo rimasti sulla scena fino all’arrivo della loro motovedetta (queste donne e questi uomini stanno facendo un lavoro incredibile in mare. Poter essere di aiuto è nostro dovere, ma è anche un sincero piacere).
Abbiamo navigato verso Trapani prendendoci cura dei 96 sopravvissuti e venerdì sono sbarcati a terra. Dicono le Convenzioni che un soccorso si conclude con lo sbarco in un porto sicuro: i nostri soccorsi, dunque, si sono conclusi alle 18.12, quando l’ultimo dei nostri naufraghi ha messo piede sul molo.
Se la nave non fosse stata lì, che cosa sarebbe successo alle 49 persone sulla prima barca? Non possiamo dirlo con certezza. Ma sappiamo con certezza cosa sarebbe successo alle 47 persone sulla seconda: sarebbero annegate tutte. Le abbiamo strappate alla morte sul filo dei secondi, non dei minuti.
E sai chi è che ci ha permesso di essere lì? Voi tutti che sostenete ResQ. Chi ha fatto una donazione quando ha potuto a chi ha adottato la nave, contribuendo ogni mese in maniera regolare; i volontari e gli equipaggi di terra di tutta Italia, e non solo, che dedicano tempo e risorse alla crescita di ResQ; i partner di progetto come Medici del Mondo Italia, che ci supportano in tutta la parte medico sanitaria della nave e delle missioni; gli Enti, le Fondazioni, alcune realtà della Chiesa Cattolica che non hanno avuto paura di esporsi supportando il soccorso in mare.
Tutti voi siete le mani che hanno salvato dall’acqua queste persone.
Ora stiamo facendo di tutto per ripartire subito, perché c’è bisogno di ogni nave nella zona di ricerca e soccorso. Ma non possiamo farcela da soli, per cui per favore, se puoi, fai una donazione ora, per permetterci di sostenere i costi della missione. Se lo hai già fatto recentemente, se non puoi, parla di ResQ a chi conosci e invitalo a sostenere le prossime missioni. In questi giorni, su quella rotta, le vostre donazioni possono fare letteralmente la differenza fra la vita e la morte.