Nel pomeriggio la ResQ People ha assistito a una intercettazione da parte della guardia costiera libica in zona SAR maltese. Ci stavamo dirigendo verso 3 imbarcazioni in legno, segnalate dall’aereo di ricerca di Pilotes Volontaires. Una motovedetta della guardia costiera libica ci ha superato a tutta velocità – abbiamo visto molte persone già sul ponte della nave – e ha raggiunto i barchini prima di noi. Abbiamo visto caricare sulla motovedetta decine di persone, tra cui donne e bambini piccoli.
Il comandante della ResQ People ha contattato via radio la motovedetta libica, segnalando che eravamo pronti a soccorrerli e sottolineando che ci trovavamo in piena zona SAR maltese. In tutta risposta, ci hanno detto di andare via.
La ResQ People non ha potuto far altro che assistere e documentare questo atto. È stata una brutta giornata: sappiamo bene che essere riportati in Libia significa essere riconsegnati alla violenza, al traffico di esseri umani, agli orrori documentati anche dalle Nazioni Unite e che nessuno può più dire di non conoscere.
La ResQ People ha effettuato il suo primo soccorso! In tarda mattinata abbiamo ricevuto una segnalazione di una barca in distress da parte dell’aereo di ricerca Colibrì, dell’organizzazione Pilotes Volontaires. Abbiamo navigato in zona SAR libica verso le coordinate indicate, a 8 miglia nautiche dalla nostra posizione, finché non abbiamo avvistato con i binocoli la barca: una piccola imbarcazione di legno blu con decine di persone. La ResQ People ha messo in acqua i Rhib e abbiamo proceduto al soccorso, portando in salvo 84 persone, maschi, tra cui cinque minori non accompagnati. Ci hanno raccontato che il barchino era partito la sera prima da Zuwara, in Libia.
Dopo avere completato il soccorso abbiamo proseguito la navigazione; dopo pochi minuti abbiamo avvistato un altro barchino di legno, vuoto. A bordo si vedevano vestiti abbandonati, e l’imbarcazione non era segnata con le coordinate del soccorso, come invece dovrebbe accadere dopo ogni operazione di salvataggio: riteniamo perciò che le persone su quel barchino siano state intercettate dalla guardia costiera libica, che – come anche documentato dalla ResQ People il giorno prima – non segna le barche che intercetta.
Abbiamo continuato a navigare in direzione di un’altra segnalazione di barca in distress: questa segnalazione ci era giunta da Alarm Phone, che dirama le richieste di soccorso alle autorità marittime competenti e alle navi civili presenti in area SAR; a bordo c’erano 88 persone, tra cui donne e bambini. Abbiamo però visto sul radar che una nave molto veloce si è recata esattamente nelle coordinate indicate da Alarm Phone: anche in questo caso, riteniamo che sia intervenuta la Guardia costiera libica.
Monitoriamo attentamente la situazione: le segnalazioni, gli avvistamenti e le condizioni meteomarine che favoriscono le partenze suggeriscono che ci potrebbero essere altre barche in difficoltà.
Proseguiamo la nostra navigazione verso nord, mentre a bordo della ResQ People ci prendiamo cura delle persone soccorse. A ognuno, una volta saliti sulla nostra nave, viene distribuita una sacca di tela con una bottiglia d’acqua, l’essenziale per l’igiene personale (sapone, spazzolino e dentifricio, asciugamano), un piatto di latta e le posate (riciclate e compostabili). Prepariamo grandi pentoloni di cuscus con legumi e verdure, diamo la colazione, il pranzo e la cena. Il medico e l’infermiera hanno controllato le condizioni mediche di tutti, fortunatamente non ci sono casi critici. Tutti hanno avuto una coperta e finalmente possono riposare un po’.
Un giorno intenso per la ResQ People, che ha dovuto procedere al salvataggio di altre tre imbarcazioni, una dopo l’altra. In tarda mattinata abbiamo soccorso una piccola barca di legno con a bordo 12 persone, tra cui due donne. C’è stato appena il tempo di accoglierli a bordo e ci siamo diretti verso un’altra barca di legno con a bordo 49 persone, tra cui 21 donne e 12 minori, compresi tre bambini sotto i 5 anni.
Infine siamo corsi verso una terza segnalazione e abbiamo soccorso un altro barchino con a bordo 20 uomini e ragazzi.
Alla fine della giornata, a bordo della ResQ People ci sono 166 persone salvate in tre giorni. Chissà se queste donne, questi bambini e questi uomini sarebbero stati vivi, se non avessero incontrato la nostra nave.
Abbiamo chiesto un porto sicuro a tutte le autorità marittime competenti, confidando di riceverlo prima possibile.
A bordo della nave ci prendiamo cura delle persone soccorse. Distribuiamo tè e biscotti, prepariamo il pranzo e la cena, medico e infermiera controllano la temperatura e le condizioni di tutti. C’è anche da pensare ai bambini a bordo: giochini per lattanti (i naufraghi più piccoli hanno otto e nove mesi), colori e album da disegno per i più grandicelli. Qualche ragazzo chiacchiera, qualcuno dorme, prima abbiamo messo su un po’ di musica per provare a distrarli dalla domanda principale: “Quando potremo sbarcare?“. Rispondiamo che non lo sappiamo, che siamo in attesa.
Ora dopo ora, rispondere è sempre più complesso: sono persone che hanno già sofferto abbastanza, nella vita, nel deserto, in mezzo al mare. Man mano che passa il tempo, riaffiora lo spettro dell’essere ricondotti in Libia. Ripetiamo molte volte che no, non lo faremo, e non lo faremmo mai.
Abbiamo un porto! Le autorità italiane hanno assegnato alla ResQ People il porto di sbarco di Augusta. Quando l’abbiamo annunciato ai nostri ospiti a bordo ci sono stati applausi, risate e pianti. Qualche donna ha improvvisato un balletto, i bambini si sono messi a saltare, un ragazzo a gridare “ResQ People! ResQ People!“. È la fine di un incubo, che per alcuni era durato mesi o anni. Un porto sicuro, in Europa, vuol dire anche la certezza – finalmente – di non essere riportati in Libia, come era già successo a qualcuno dei nostri naufraghi. Siamo arrivati ad Augusta in serata, e abbiamo trascorso la notte davanti al porto.
La ResQ People ha attraccato al molo di Augusta e sono iniziate le procedure di sbarco dei 166 naufraghi a bordo. Ci sono volute più di quattro ore: prima le donne incinte, i bambini, i minori non accompagnati e le famiglie, poi tutti gli altri ragazzi e adulti. Ogni persona che scende viene identificata dalle autorità e sottoposta a un tampone, poi le famiglie e i bambini sono stati trasferiti in un centro di accoglienza, tutti gli altri sono saliti a bordo della motonave Aurelia – che era attraccata alla banchina accanto a noi – per il periodo di quarantena.
La ResQ People, invece, è andata con il suo equipaggio a fare dieci giorni di quarantena all’àncora, davanti al porto. Siamo stanchi e felicissimi di vedere sbarcare queste 166 vite. Chissà, se non fossimo stati in mare, che cosa sarebbe successo di loro.
E ora avanti a preparare la prossima missione: salite a bordo con una donazione, torniamo in mare insieme.