“Arrivano senza più niente ai piedi, o quasi. Affamati, esausti, stravolti. A volte hanno in mano dei fogli di via e devono capire cosa sono. È per loro che stiamo aprendo il progetto Trieste”. Lia Manzella, vicepresidente di ResQ, racconta la prima settimana di questa nuova attività di ResQ, sulla frontiera di terra di Trieste, la porta d’Europa per chi arriva dalla rotta balcanica.
“Spesso arrivano di notte, vanno attorno alla stazione e ci rimangono, perché sperano di ripartire in poche ore. Vicino alla stazione c’è il centro diurno – un luogo in cui stare durante al caldo, mangiare, trovare vestiti e lezioni di base di italiano… uno sportello legale per conoscere i propri diritti, ricevere assistenza sulle richieste di asilo, eventualmente denunciare gli abusi subiti durante il viaggio. In questi giorni abbiamo incontrato perlopiù persone che venivano da Afghanistan, Pakistan, Bangladesh, qualcuno dalle zone del Kurdistan; perlopiù ragazzi sotto i 30 anni, e alcune famiglie”.
Alla sera andiamo in piazza Trieste, che è diventata un punto di ritrovo e anche un simbolo. “C’è la panchina: un ambulatorio a cielo aperto dove Lorena Fornasir medica le ferite di chi arriva con i piedi distrutti. Per chi arriva dalla rotta balcanica quello il primo contatto umano, dopo mesi o anni di violenze, con qualcuno che non li vuole respingere, cacciare, o chiudere da qualche parte, ma che invece offre aiuto, una mano tesa”.