“Ciao Pia, ho letto di te sui giornali. Sembri una tipa tosta. Sono un artista britannico e ho fatto alcuni lavori sulla crisi dei migranti, ovviamente non posso tenere per me i soldi che ho guadagnato. Puoi usarli per comprare una barca o qualcosa del genere? Per piacere, fammi sapere. Complimenti! Banksy”. Con questo messaggio, nel settembre 2019, lo street artist Banksy ha contattato Pia Klemp, che era stata comandante di una nave di salvataggio dell’ong SeaWatch. Meno di un anno dopo, quel “qualcosa del genere” è diventato realtà: uno yacht di 31 metri di lunghezza, che arriva fino a 27 nodi di velocità e che dal 18 agosto 2020 è nel Mar Mediterraneo ad aiutare nel Search and Rescue (Ricerca e soccorso) di imbarcazioni in difficoltà. Il nome della barca? Louise Michel, per ricordare un’insegnante anarchica e femminista vissuta nel XIX secolo in Francia.
Nel giro di pochi giorno la “nave di Banksy” – che batte bandiera tedesca, ha un equipaggio di 10 persone e che, nel solco del nome, avrà portavoce solo femminili – ha già salvato più di 350 persone in una settimana ed è affiancata nelle operazioni di salvataggio da altre navi tra cui Sea-Watch4, mentre anche Mare Jonio, la nave dell’ong Mediterranea, sta raggiungendo in queste ore le acque tra l’Italia e la Libia. Dopo avere lanciato un mayday, una richiesta urgente di aiuto dato l’affollamento sulla nave, 49 tra bambini, le donne e uomini salvati dalla Louise Michel sono stati portati a Lampedusa anche grazie all’intervento di una motovedetta della Guardia Costiera italiana. Purtroppo è stata recuperata anche una salma. Il resto delle persone, trasbordato sulla SeaWatch4, sta aspettando l’assegnazione di un porto dove sbarcare.
La scelta di mettere in mare una nave di ridotte dimensioni ma piuttosto veloce, a differenza della maggior parte delle altre navi di salvataggio delle ong, è stata fatta per arrivare prima possibile nei punti di emergenza cercando anche di anticipare l’intervento della cosiddetta Guardia costiera libica, con cui il Governo italiano e l’Europa hanno accordi ma che di fatto quando interviene a salvare le persone le riporta nei centri di detenzione da cui erano fuggite. Centri in cui è oramai chiara e sistematica, come certificato anche dalle Nazioni Unite, la violazione dei diritti umani delle persone migranti da parte di criminali libici con forti negligenze o addirittura connivenze delle autorità locali.
“Il salvataggio in mare è un obbligo secondo la legge marittima internazionale”, scrive il 30 agosto lo staff della Louise Michel sul proprio account ufficiale Twitter. “Questo obbligo si applica a ogni persona in pericolo in mare, senza tenere conto di nazionalità, ragione del viaggio o stato legale. Ogni uomo di mare lo sa. Unione Europea, non stai rispettando le tue stesse leggi”, chiude perentorio il messaggio su Twitter.