Una scintilla di umanità a Moria, grazie alla Comunità di Sant’Egidio.
L’apertura di un ristorante nell’Isola di Lesbo, dove c’è una baraccopoli abitata da migliaia di migranti, però non può nascondere le (ir)responsabilità dell’Europa.
Prima la notizia tratta dall’agenzia LaPresse:
A Lesbo il ristorante della solidarietà di Sant’Egidio per i profughi Milano, 12 ago.
(LaPresse) – Si è aperto la scorsa settimana con una grande festa per l’Aid el Adha – una cena tradizionale a base di agnello – il primo ‘ristorante solidale’ di Sant’Egidio per i profughi che sostano, a volte da anni, nell’isola greca di Lesbo. Circa 350 persone – perlopiù famiglie con bambini molto piccoli provenienti dall’Afghanistan, dall’Iran, dalla Siria – hanno ricevuto il permesso di uscire dal campo profughi di Moria, dove vige un severo lockdown da alcuni mesi, per partecipare alla cena. Sant’Egidio ha ottenuto infatti che nel mese di agosto, ogni giorno una quota di almeno 300 profughi possa uscire dal campo per partecipare alle attività organizzate dai volontari della Comunità, un gruppo di persone provenienti da diversi paesi europei. E in pochi giorni il ristorante è passato da 320 a 850 persone e coperti al giorno, riferisce la comunità di Sant’Egidio.
È stato allestito un antico frantoio, una grande costruzione di pietra di fronte al mare, dove, oltre alle cene, si terranno anche il corso di inglese per gli adulti e le attività di Scuola della Pace per i bambini. Tutto si svolge nel rispetto rigoroso delle norme anti-Covid, ma in un clima festoso: la gratitudine visibile sul volto dei profughi – molti dei quali chiedono di aiutare e collaborano al servizio, indossando con orgoglio la pettorina azzurra con il logo di Sant’Egidio – aiuta a superare le barriere linguistiche. A Lesbo ci sono attualmente circa 15mila profughi, molti dei quali “intrappolati” nell’isola da anni, che vivono in condizioni drammatiche nei campi formale e informale di Moria, scrive la comunità di Sant’Egidio, ricordando che molte ong hanno interrotto le attività e lasciato l’isola negli ultimi mesi, mentre si sono moltiplicati gli episodi di intolleranza e le violenze nei loro confronti. “Anche per questo la presenza di Sant’Egidio, segno di una una fedeltà che parla di stabilità a vite drammaticamente instabili, è anche un invito alla speranza”, conclude la nota sul sito.
La speranza di una vita (quasi) normale in quel campo profughi ha un significato enorme, che va ben oltre l’apparente semplicità dell’apertura di un ristorante. Moria è una delle peggiori vergogne d’Europa, un luogo da cui tutti vogliono scappare, un inferno di tende e fango, baracche e incendi. L’opinione pubblica europea ebbe un fremito solo quando le ONG denunciarono i casi di suicidio annunciati o tentati da qualcuno dei 6000 bambini che vi sono reclusi. Ma durò poco.
Sono 15.000 (il campo di Moria originariamente doveva contenerne 3000) i migranti che aspettano di lasciare l’isola di Lesbo, ma le ambiguità del rapporto fra UE e Turchia, le guerre che continuano ad alimentare le fughe di persone, le restrizioni dovute al coronavirus rendono quel sogno impossibile da realizzare.
Per queste ragioni Sant’Egidio non va solo ringraziato per il gesto concreto, ma anche per l’investimento in umanità che un ristorante riesce a fornire in un contesto così degredato.